Incarnazione dell’estetica e della cultura tradizionale del Sol Levante, il Tokonoma (床の間) è metafora di ciò che amo definire il Tempio dell’ombra, luogo in cui il Vuoto manifesta tutta la sua sacralità.
Benché la sua destinazione sia quella d’essere utilizzato come sede espositiva per kakemono, ikebana, bonsai o qualsiasi altro oggetto particolarmente significativo e prezioso, resta un posto in cui l’armonia tra gli elementi presenti ed il Vuoto raggiunge uno stato sublime.
Eppure, guardando quello spazio, continuiamo a non vedere nulla… altro che potenziale origine del Tutto.
Quello che agli occhi di un occidentale apparirebbe come un inutile spreco di uno spazio disadorno, il tokonoma è la vera chiave di lettura di una cultura millenaria incentrata sull’esistenza del Vuoto come potenziale origine del Tutto.
Più di ogni altra cosa mi incanta, tuttavia, la luce opalescente che entra, filtrata dalla carta bianca dello shoji, dalla finestra a fianco della nicchia. Ho spesso sostato, davanti a quella luminescenza arcana, dimenticando il passare del tempo.
Jun’ichirō Tanizaki
Ed è qui che l’ombra ci viene in soccorso. Grazie alla fievole illuminazione naturale filtrata dagli shoji (posti lateralmente il tokonoma), tutto lo spazio si riempie di un’atmosfera che ci induce a far attenzione agli elementi presenti.
È proprio il doversi focalizzare sui particolari, che ce li fa apprezzare perché scoperti poco a poco. L’estetica giapponese e la sua bellezza non regalano nulla, tutto va meritato e guadagnato attraverso la pratica continua e l’affinamento della propria sensibilità.
Nel Tempio, i concetti di Vuoto e Yūgen si combinano tra loro per disvelare una realtà profonda solitamente celata ai nostri occhi, il più delle volte a causa della stessa illuminazione (oltre che dalla nostra ignoranza).
Quando la luce abbaglia i soggetti presenti nel tokonoma, gli elementi in esso contenuti si mostrano istantaneamente per quel che sono, ma nel farlo in un modo così palese e fulmineo, si declassano a meri “oggetti in vetrina”.
Come direbbe il Maestro Zen Daisetz T. Suzuki, l’apprezzamento di tali elementi si ferma alla loro forma, non a ciò che ella esprime.
Nel mostrare tutto e subito, la vera bellezza – tipicamente yūgen – ci viene preclusa. Il suo fascino deriva dal suggerito, dall’incompiuto, dall’inespresso, ed è tanto più significativa quanto più l’elemento esposto rifugge dal dichiararsi apertamente.
Il Vuoto del tokonoma diviene un suggerimento silenzioso a fare il vuoto dentro di noi. Abbandonando, anche se momentaneamente, i condizionamenti, le speculazioni e ciò che crediamo di sapere, praticando un vero e proprio distacco da tutto, creiamo la condizione di compartecipazione empatica necessaria per diventare un tutt’uno con ciò che è esposto.
Ed ecco che ciò che era inespresso ritrova – attraverso di noi, e noi con lui – la sua completezza.
Sensazioni sopite nel nostro più intimo profondo riprendono vita, annullando tempo e spazio. Nel fruire e nel partecipare a tanta bellezza, noi stessi diventiamo “bellezza”, non solo estetica, ma etica, morale!
Ritorniamo al Tutto fino al punto che annullando il proprio Io – o scoprendo che l’Io non esiste – ridiventiamo Natura.
ph cover: “Tokonoma. Il tempio dell’ombra” – 2016 © C. Scafuri
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4 Responses
Lavoro incredibile di nozioni, contenuti e concetti relativi alle arti giapponesi, alla filosofia, alla cultura ed alla tradizione. Argomenti sviluppati in pieno e di facile lettura e metabolizzazione.
Grazie mille Aldo, sono davvero felice che ti sia piaciuto.
Per me , psicoanalista , che mette al centro della struttura la mancanza, il vuoto , la beanza, trovare in “elogio dell’ombra” la centralità del toko no ma, è stata una rivelazione.
Elisabetta
Grazie Elisabetta per la tua testimonianza. Negli ultimi anni la psicoanalisi sta dando molta attenzione al concetto del vuoto, anche in relazione all’assenza di un vero e proprio sé.