C’è chi dice che i libri si dividono in due categorie, quelli belli e quelli brutti. Per me invece, ci sono libri che leggi una sola volta, altri di cui inizi la lettura ma che non finirai, e poi ci sono loro, quelli che leggi più e più volte ed ogni volta ne resti rapito ed affascinato per un motivo diverso.
Libro d’ombra di Jun’ichirō Tanizaki (Bompiani, 2017, pp. 96, € 8,55) è sicuramente uno di questi. Saggio molto lontano dalle solite pubblicazioni dell’autore, come ad esempio il sensuale ed erotico “La chiave”, è – a detta dalla gran parte della critica – il suo miglior capolavoro.
In questa sua opera maestra è forte il racconto dell’essenza del vero spirito giapponese, racconto spesso critico verso la sua declinazione moderna. Tanizaki indica come, iniziando ad analizzare una serie di oggetti d’uso comune, in oriente ci sia stata una costante ricerca all’armonizzazione del tutto, anche nel bilanciamento tra luce e buio, tra luminosità ed ombra.
Non solo analisi di aspetti legati al quotidiano, ma un vero e proprio compendio delle arti tradizionali, che nel corso dei secoli hanno impresso nel popolo giapponese un gusto ben preciso e volto, come già detto, all’armonia.
L’ombra stessa diventa chiave di lettura di questa estetica in cui la bellezza è tale perché nascosta, sussurrata… mai sfacciata, gridata.
Per prima cosa i nostri antichi ricavarono, nello spazio illuminato dalla luce solare, una chiusa nicchia d’ombra; posero poi, proprio al centro dell’ombra, l’essere più chiaro che conoscevamo: la donna. Perché biasimarli? La chiarezza della pelle era, per loro, il sigillo della beltà femminile. Solo l’ombra poteva proteggerla e darle risalto.
Jun’ichirō Tanizaki
Il libro è anche una difesa ai valori tradizionali di un popolo (difesa promossa anche da altri intellettuali tra cui Yukio Mishima) che, nella corsa alla modernizzazione ed alla occidentalizzazione, rischiava di perdere il proprio spirito.
L’autore non era contrario allo sviluppo in quanto tale, ma questo aspetto non poteva limitarsi alla mera funzionalità, doveva invece legarsi al bello, al buon gusto, ed al piacere dell’uso. In questo assunto, la tradizione non sarebbe stata un limite, ma un saldo inizio dal quale partire.
Niente so di fisica teorica; sono convinto però che sarebbe possibile svilupparci, almeno in parte (per esempio, nelle cose comuni e domestiche), seguendo la nostra indole. Se, di fronte all’Occidente, avessimo adottato sin dall’inizio un atteggiamento meno servile, oggi non solo indosseremmo altri abiti, mangeremmo altri cibi, abiteremmo altre case, ma diverse sarebbero anche la nostra politica, la nostra religione, la nostra arte, la nostra economia. Tutto sarebbe altro, e orientale.
Jun’ichirō Tanizaki
Jun’ichirō Tanizaki racconta oggetti d’uso comune della tradizione giapponese, come ad esempio il tokonoma, la carta washi, gli shoji, i tatami, cose intrise (ed apprezzabili per questo) di quella patina (del tempo) che, grazie all’ombra, ci proiettano in una dimensione indefinita, uno spazio di raccoglimento emotivo grazie al quale entrarci in contatto e poter sentire – anche solo per un attimo – vera armonia.
Ancora oggi questo saggio assume la connotazione di un manuale del giusto e quieto vivere. In una società sempre più caratterizzata dall’eccesso e dallo sfarzo autoreferenziale, dove la strategia per l’essere visti è quello di “abbagliare”, l’ombra diviene metafora dell’invito a non puntare alla scontata apparenza, ma all’essere se stessi senza penalizzare gli altri sensi a favore della sola vista.
2 Responses
Mi ha già affascinato la lettura della recensione. Sono molto interessata alla cultura giapponese, per ragioni personali ma soprattutto perché ne sono sempre stata attirata e ho cercato di scoprire sempre più cose possibili. Penso sia senza dubbio imperdibile .
Salve Gabriella, la ringrazio per questo suo commento. “Libro d’ombra” è un testo davvero immancabile nella libreria di chi, come lei, è attratta da questa cultura così affascinante.