L’estetica è materia su cui filosofare, meditare, camminare e tale cammino è ancora più arduo se fatto in un percorso originato da cinesi e giapponesi. L’arte nel bonsai, di questi piccoli alberi coltivati con grande amore, per fare un esempio, rappresenta un modello di interpretazione ed elaborazione della realtà da applicare ai più diversi ambiti dell’esperienza e dell’osservazione.
È una visione estetizzante della natura, un superamento della visione estetica che offre la natura che viene elaborata ad arte e con arte. Il bonsai trionfa e sembra il paradosso della bellezza in un mondo dove trionfa il brutto o, il che è anche peggio, il trionfo di quella parodia del bello.
Queste arti si muovono oggi in un mondo che sembra dimenticare arte e cultura, in un mondo desolatamente privo di qualsiasi luce di bellezza. A segnalare il degrado è l’abnorme morfologia del paesaggio, se non un vero e proprio distorcimento degli spazi naturali. E ciò vale anche per i luoghi deputati al bello. Quale bellezza, nella pretesa che tutto lo sia? La bellezza simulata e finta, anzi la bellezza come simulazione. E naturalmente dietro la simulazione vi è il nulla.
Dunque che esperienza è l’esperienza estetica. Alla fine, il bonsai, questo albero miniaturizzato, non è che un pretesto, un’occasione. Rimane l’esperienza estetica che mette in gioco tutte le facoltà del bonsaista. Attraverso il bonsai l’autore incontra il proprio “sé” più intimo e più vasto e più carico di significati.
Come è possibile un sapere che non sa, e tuttavia sa? Da dove viene una conoscenza che non è conoscenza, ma tuttavia rappresenta una forma eminente di comprensione e conoscenza della natura. Il bonsai è dunque arte e l’arte è intuizione ed espressione. È espressione in quanto intuizione.
Il bonsai non è l’atto di rappresentare l’albero già necessariamente noto, quanto piuttosto la capacità di esibire la rappresentazione dell’albero, in modo che esso sia rappresentato nella sua forma più sensibile e nell’illusione evocativa che suscita all’osservatore.