”È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.” – Antoine de Saint Exupéry
“Scaf, guarda cosa è nato nel mio kokedama” – e così dicendo, Claudia mi invia la foto di un seme di trifoglio appena spuntato. Vedo questo semino germinato e mi viene alla mente un passaggio de Il Piccolo Principe *:
“Ma questo era spuntato un giorno, da un seme venuto chissà da dove, e il piccolo principe aveva sorvegliato da vicino questo ramoscello che non assomigliava a nessun altro ramoscello.”
“proprio come il suo infiltrato” – penso. Claudia non ha una collezione di invidiabili bonsai, ne ha pochi e di piccole dimensioni per meglio farli adattare alla finestra della sua camera. Tra questi, Mitsuru, una Zelkova acquistata per pochi euro e che coltiva ed accudisce come la più preziosa delle opere di Masahiko Kimura.
Ci confrontiamo spesso sul cosa significhi fare bonsai e sul cosa voglia dire essere bonsaista. Io insisto nel dirle che lei lo è a pieno titolo visto l’impegno, la cura e l’amore che riserva alle sue piccole creature.
Acquisire le opportune conoscenze colturali ed estetiche, così come saper applicare le varie tecniche è fondamentale, ma il tutto va sublimato se si vuol arrivare alla vera essenza del bonsai.
Il Maestro John Naka diceva che il bonsai è amore, ciò vuol dire che al di là della forma che il bonsai ha, ciò che conta è la sua componente emozionale, senza di quella il bonsai non è che un feticcio, un essere snaturato della sua componente vitale e declassato a mero oggetto.
Fare bonsai, o meglio – sentire di fare bonsai – è molto di più che darsi a del banale giardinaggio specializzato fine a se stesso, vuol dire modificare la propria vita, il proprio quotidiano sulla base di parametri e valori ormai a rischio estinzione… semplicità in primis.
“Comincio a capire” disse il piccolo principe. “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…”
Nel mondo dove il meno è più, dove l’attimo è fuggente e l’istante è permanente, il bonsai ci mostra una vita fatta di singoli, pieni ed eterni istanti. Non resta che tornare a dare ascolto al bambino che è in noi, dando importanza alla sostanza più che alla forma, proprio come suggerito dall’autore:
“I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta”
Un approccio al bonsai, quindi, più improntato sul lato emozionale, fatto di gesti che accudiscono e curano senza ferire, ove ognuno possa riscoprire se stesso attraverso una progressiva maturazione che porti al vero Io, spontaneo e genuino, senza condizionamenti e sovrastrutture esterne.
Se il Bonsai è arte del togliere, uno degli insegnamenti più importanti che possiamo trarne è quello di un ritorno alla propria essenzialità, recuperando il bambino che è noi.
* Il Piccolo Principe, scritto da Antoine de Saint Exupéry e pubblicato nel 1943, è una delle opere letterarie più famose e lette al mondo, tradotto in oltre 200 lingue, e da qualche anno anche in napoletano. Benché destinato ai bambini, il racconto è diventato nel tempo un vero e proprio libro di culto, letto (e riletto) soprattutto dagli adulti.
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2 Responses
Trovo le riflessioni di Carlo condivisibili. Un giorno Keizo Ando si è incontrato con Kimura e ha espresso il suo apprezzamento per il successo dei suoi bonsai e Kimura ha risposto “vorrei saper fare bonsai con amore come i suoi”.
Ho avuto il piacere di avere Keizo Ando come maestro “tradizionale” e sosteneva che la tecnica bonsai incide per il 20% nella formazione di un bonsai mentre la capacita’ di curarlo ed amarlo vale l’80%.
Grazie di cuore Ennio, è bello ed importante vedere confermati i propri pensieri da Maestri di questo calibro attraverso la tua testimonianza.