I premi sono davvero importanti? Chiediamolo ad Adriano Panatta

TAKUMI - Adriano Panatta

All’ingresso del campo centrale di Wimbledon c’è una frase di Rudyard Kipling, l’autore del “Libro della giungla”, che dice così:  “che tu possa incontrare il trionfo e il disastro, e fronteggiare quei due impostori nello stesso modo”. Quanto è difficile porsi davanti a successi e insuccessi rimanendo coerenti con se stessi. Quanto è difficile non esaltarsi quando l’obiettivo è raggiunto, e non disperarsi di fronte a un fallimento. 

Eppure, c’è, raramente ma c’è, chi quella frase l’ha resa viva, l’ha resa persona; tra questi, Adriano Panatta. Giorni fa Jannik Sinner, giovane tennista italiano, è diventato il numero 4 al mondo. L’altro italiano che ci era riuscito, era stato appunto Adriano Panatta nel 1976. La reazione di Panatta è stata esattamente quella che si aspetterebbe da uno come lui. Uno è diventato numero quattro, come lui, lo ha raggiunto, lui ha preso un telefonino, anzi l’ho fatto prendere da qualcuno perché lui non lo sa usare, e si è fatto fare un video (oltretutto vicino a una strada rumorosissima), in cui ha detto praticamente: “sono felice che Sinner ce l’abbia fatta, così non rompete più il ca..o a me.”

Voi non ci crederete, ma io sono molto contento. Sono contento per lui perché è un bravissimo tennista, mi dicono che è anche un bravissimo ragazzo, e finalmente non mi chiamerete più. 

Adriano Panatta


E qui dovrebbe partire l’applauso, un’ovazione verso l’uomo che ha fatto dell’essere superiore a quel che gli succede, una forma di vita. Panatta è l’incarnazione della filosofia Zen, è un buddhista inconsapevole e forse anche riluttante. Panatta fondamentalmente, e per chi gli sta vicino questa cosa si percepisce proprio al tatto, se ne sbatte le pa..e di voi, della vita e persino, anzi, direi soprattutto, di Panatta.

E in questo modo, vivendo in questo modo, credo abbia condotto fino a qui una delle esistenze più invidiabili della storia. Io posso solo immaginare cosa potesse voler dire essere Panatta negli anni 70: bello, intelligente, vincente. Ma Adriano, pure dopo il tennis, ha fatto cose incredibili, ha corso i rally, ha vinto delle gare di motonautica, e questo l’ha fatto perché è più intelligente degli altri, non ci sono altri motivi. Non c’è fortuna, non c’è casualità, c’è solo quel carattere lì, quel modo di vivere lì. 

“Vedi, pensate solamente al risultato, pensate solo a portare a casa il risultato. Avete perso il senso del gioco… il bel gioco, il bel punto.” 

Insomma, questa è la geografia di Panatta, l’esaltazione di un uomo che ha vissuto, e vive, come noi vorremmo fare. Mentre a noi tutti non scivola addosso nemmeno una goccia di pioggia, a lui pare scivolargli addosso il mondo intero. 

La vittoria e la sconfitta perdono di valore, e a chi gli chiese: “ma se ti fosse impegnato di più, invece di quarto al mondo, avresti potuto essere terzo?” – lui rispose: “sì. E cosa sarebbe cambiato?”.

Il segreto sta tutto lì… pof… pof… pof… 


spudoratamente tratto da “Essere Adriano Panatta” | podcast di Luca Bizzari

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