Una radice è un fiore che disprezza la fama.
Khalil Gibran
Tra le più interessanti pratiche volte al benessere personale, negli ultimi tempi si è fatta spazio quella del grounding, letteralmente del “radicamento”. Restare scalzi ed a contatto diretto con il suolo, magari su un tappeto erboso, permette al nostro corpo di interagire in un modo più diretto e naturale col mondo che ci circonda. Non a caso, tantissime sono le sessioni di yoga praticate sui prati o nei boschi.
I benefici
La pratica agisce su due livelli, sia quello psichico che quello squisitamente fisico. Proprio come in una sessione di meditazione, attraverso il grounding è possibile raggiungere un diverso livello di consapevolezza ed essere maggiormente presenti a se stessi in quel famoso qui ed ora – concetto nevralgico delle pratiche orientali – e vivere in armonia.
La pratica ci indica una strada per relazionarci all’ambiente esterno con occhi diversi, attraverso un modo più fisico e consapevole, sfruttando la connessione del corpo alla terra attraverso i piedi (le cui “doti” riflessologiche sono note da tempo).
Banalmente parlando, ci insegna a vivere con i piedi per terra e non con la testa in aria, ad essere più concreti e meno illusi.
La “messa a terra”
A livello fisico, il grounding apporta importanti benefici al sistema immunitario, alla circolazione, alla postura ed alla propriocezione.
La “messa a terra” agevola la sincronizzazione dei bioritmi del corpo attraverso il magnetismo ed i campi elettrici sottili delle terra. Studi scientifici ne hanno dimostrato i benefici, tra cui l’efficacia della prevenzione nelle patologie infiammatorie normali e croniche.
Il Nebari
Connessione metaforicamente simile a quella rappresentata dal nebari (apparato radicale superficiale) nel bonsai. Se da una parte dona stabilità ed equilibrio visivo all’albero, dall’altra denota la competenza, l’attenzione e la cura che il bonsaista ha saputo riversare nel proprio esemplare.
Per formare un nebari degno di questo nome, ci vogliono anni di cure, conoscenze ed interventi mirati. Nulla può essere lasciato al caso.
Prima di tutto è una questione di tempo; per la formazione del nebari ci vogliono degli anni, prerogativa in contrapposizione con chi promette di arrivare ad un “prodotto finito” nell’arco di poco tempo.
Se vestire un tronco con una chioma più o meno valida è alla portata di molti (ed in tempi rapidi), ottenere un buon apparato radicale è prerogativa di pochi, e fa la differenza tra chi dice di essere bonsaista e chi è bonsaista (leggi anche Salita e discesa di Edoardo Rossi).
La zona del nebari è anche quella (in relazione alla chioma ed al tronco) più discreta, meno visibile e d’effetto scenico, ma non per questo meno importante, anzi! La vitalità del bonsai è direttamente proporzionale allo stato di salute delle sue radici (che sono la parte speculare della chioma). Come nel grounding, un buon radicamento assicura all’albero maggiore salute e benessere, oltre che un’ottimale stabilità ed armonia d’insieme.
Simbolicamente parlando, è un silenzioso invito ad avere meno la testa tra le nuvole, ed a stare di più con i piedi per terra, ovvero, a seguire la pratica del bonsai con maggiore umiltà e consapevolezza, ricordando qual è la base culturale di partenza di questa antica pratica.