Cos’è l’arte se non un linguaggio capace di trasmettere emozioni dal creatore al fruitore? Lo stesso atto creativo – in tutte le sue declinazioni – non è che un mezzo sublimato volto al raggiungimento di questo transfert emotivo. Il creare ha in sé quel qualcosa che richiama al mistico, a quel gesto biblico col quale Dio dette vita all’uomo plasmando la terra e soffiandoci su lo spirito divino.
Sarà per via delle mie radici cristiane, ma sono sempre stato incredibilmente affascinato dall’arte della ceramica. Mani che modellano argille informi che in breve tempo vedono sbocciare dal nulla meravigliosi manufatti.
Certo, non tutto ciò che nasce in questo modo è capace di suscitare emozioni. Il più delle volte le creazioni di questo genere hanno finalità pratiche e non artistiche, anche se tutte hanno potenzialmente questa vocazione. A me è bastata una foto, questa (seguente) foto, per rimanere senza parole, affascinato com’ero, da questo oggetto così semplice, raffinato, evocativo.
Il primo contatto
Forme così ricche nella loro semplicità da riempirti il cuore. Un piccolo fiore di campo, un papavero, dall’esile stelo e dai delicati petali rossi, che si erge con discrezione, oserei dire con pudicizia, mostrando il suo lato più intimo e nascosto… abituati come siamo a vederli a migliaia nella loro esuberanza primaverile. Un vaso creato per ospitare proprio quel fiore. O forse quel fiore è nato proprio per dare compimento al senso del vaso?!
Quale che sia la verità, sono rimasto così estasiato ed emozionato da questa immagine che ho subito contattato l’autrice, Elisa Pavan, per potermi complimentare con lei, e magari poter conoscere meglio colei che aveva infuso in quelle creazioni un piccolo pezzo della propria anima.
Che sia stato un contatto fortuito o predestinato non saprei, ma aver avuto l’occasione di poter entrare nel mondo di questa artista così sensibile e talentuosa, è stato per me un arricchimento incredibile, sia a livello umano che conoscitivo.
Non c’è bisogno di fare particolari chissà quali valutazioni per trovare e scorgere in lei il profilo del vero takumi: «takumi è chi ha fatto del perseguimento della bellezza – e dell’eccellenza in un’arte – il proprio stile di vita». Questa definizione riassume molto bene Elisa ed il suo percorso, professionale ed interiore al contempo.
Gli inizi
Nata in Trentino, dopo il conseguimento del diploma frequenta un corso professionale di specializzazione in fotografia artistica a Milano, collaborando contemporaneamente con il Maestro Mario Balducci nella realizzazione di decorazioni d’interni e recupero, restauro e valorizzazione di complementi d’arredo.
Durante il biennio 2007/2008 ha lavorato presso l’atelier dell’artista Verena De Neve, specializzandosi nella lavorazione di opere in ceramica classica (lavorazione diverse argille fini o refrattarie con tecniche fra cui colombino, lastra, pollice, inerenti stili decorativi) e tecnica raku, avviando nel contempo percorsi didattici e laboratori rivolti a ragazzi ed adulti.
Il mondo della ceramica diventa per lei così totalizzante che nel 2016 lascia il suo impiego per dedicarsi interamente a quest’arte. Attualmente a Spinea (VE) si dedica alla realizzazione di progetti e laboratori di ceramica, ad una propria linea artistica, ed alla partecipazione di mostre, eventi e performance artistiche.
La sua partecipazione a tali attività non dev’essere però considerata come funzionale al soddisfacimento di un bisogno egocentrico di apparire, ma sono stati anni di importanti confronti volti ad una crescita tanto introspettiva quanto artistica, ed infatti il fil rouge delle sue opere hanno a che fare coi temi dell’universalità, della metafisica e delle metamorfosi.
Questa sua ricerca traspare sensibilmente nei suoi lavori. Minimalismo, matericità, eleganza, ermeticità, spazialità, semplicità, raffinatezza… sono soltanto alcuni degli aggettivi, delle qualità, che mi vengono in mente quando osservo le sue opere. Il famoso fotografo Henri Cartier-Bresson diceva che “fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere”, una frase che ben stigmatizza l’approccio di Elisa verso il mondo della ceramica.
Le sue creazioni prendono vita aspettando che sia la materia stessa ad esprimersi attraverso le sue mani, e, cosa rara, nascono soltanto quando sta bene con se stessa ed in equilibrio con ciò che la circonda, in modo da essere un’artefice pienamente consapevole del momento in cui è attraverso una genuina spontaneità. Non è questa una perfetta definizione del fare zen? Fantastico!
Kurinuki
Spontaneità è anche la parola chiave del “kurinuki”, tecnica tradizionale giapponese di realizzazione manuale che pratica ed insegna, e grazie alla quale la sua ricerca sul concetto del vuoto ha preso maggiore slancio. La parola kurinuki vuol dire “scolpire” e sta ad indicare il modellare, ritagliare, scolpire l’argilla. È un antico approccio scultoreo volto alla realizzazione del pezzo che procede per sottrazione, dove il vuoto (interno) è importante tanto quanto il pieno (esterno).
Alla base di tale tecnica c’è proprio la spontaneità che dona vita all’oggetto creato, opera che dovrebbe mostrare i segni del suo creatore. Un’imperfezione ricercata volta al raggiungimento della perfezione attraverso l’essenzialità. Ceramica come pratica meditativa.
Grazie alle riaperture post lockdown, Elisa è tornata ai suoi corsi ed ai suoi laboratori, ed in particolare in questo periodo sta insegnando questa incredibile tecnica in collaborazione con l’associazione “il ritmo dell’anima”. Tante parole, ma non ho che scalfito la superficie di questa incredibile artista. Vi lascio i suoi contatti con la promessa di tornare presto a parlare di lei e delle sue creazioni.
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