Bonsai, lo stato dell’arte

TAKUMI - Antonio Ricchiari - Bonsai, lo stato dell'arte


Queste riflessioni, che riguardano l’evoluzione stilistica del bonsai e la sua crescita, presuppongono (e sarebbe fortemente auspicabile) un confronto fra le parti. Allo stato attuale, si può parlare di evoluzione stilistica del bonsai? Cos’è l’aura estetica del bonsai? In questo caso si parla di un’opera unica di un certo livello: l’aura è quell’alone che circonda la pianta con l’idea di unicità e specificità dell’ “opera bonsai”.

Kant non ha un’idea dell’esperienza estetica come “contemplazione pura e disinteressata”, l’esperienza estetica ha a che fare non solo con il piacere ma con tante altre cose. In essa c’è uno stretto rapporto fra il “bello” ed il pensare, tra le rappresentazioni dell’immaginazione ed i concetti, tale da produrre infinite conoscenze e pensieri, pur senza ridursi a questo o quel contenuto determinato.

Il comportamento corretto per accostarsi al bonsai va attuato nello spogliarsi di tutti i modi di conoscenza, perché l’esperienza (che si accumula soltanto nel tempo e non precorrendo i tempi!) include oltre all’emozione ed al piacere e alla formazione conoscitiva, anche consapevolezza critica e valutazioni stilistiche: processo in cui devono essere impegnate tutte le facoltà del bonsaista.

Alla base di tutto ciò vi è il primo impatto che consiste nell’analisi in termini strutturali della pianta ed il suo futuro in termini di stile, dando alla fine il risultato che dovrebbe essere di naturalezza e di interpretazione del soggetto che rispetti l’andamento che ha in natura e che non sia stereotipato imbastardendolo con stili che non ne rispettano la forma assunta in natura e nel proprio habitat.

Se non adeguatamente rispettati ed interpretati, gli stili codificati dagli orientali si trasformano in una meccanica ripetizione che stravolgerà la pianta facendole assume aspetti grotteschi. Ripeto, il progetto che il bonsaista vuole realizzare va inteso entro i limiti che la materia e la specie della pianta impongono.

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La presunzione di volere trasferire o addirittura stravolgere la natura di un albero non si concilia con il concetto di “naturalità” (qualità, condizione di ciò che è in natura).

La presunzione di volere trasferire o stravolgere la natura di un albero non ci concilia con il concetto intimo del bonsai e non è l’omologazione a tutti i costi degli stili che già corre il rischio di una replica sul modello “copia e incolla” tanto per dirla in termini informatici!

E le mostre, con le proprie esposizioni, sono da tempo un chiaro esempio di distorta interpretazione, dove l’olivo, per citare un esempio clamoroso, ha sempre di più l’aspetto di una conifera stravolgendo l’aspetto che in natura questa meravigliosa pianta ha, con una chioma che riproduce leziosamente altre essenze ed altri habitat! E così non sarà mai credibile e perderebbe tutto il proprio fascino e quella natura selvaggia che lo distingue da secoli.

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So di ripetere cose essenziali che evidentemente oggi sfuggono al alcuni bonsaisti. Ma bonsai male interpretati concorrono negativamente alla qualità estetica del bonsai, alla sua cattiva immagine, finendo di appiattirne l’immagine quando si arriverà a vedere latifoglie copie perfette delle conifere!

Così l’omologazione degli stili rischia di diventare sterile esibizione sì di tecniche perfette, ma esercizio ripetitivo, dando corpo ad una visione che spersonalizza quella pianta e che non suscita emozioni. Ed il rischio è reale e lancio il mio “grido di dolore” nell’interesse stesso di tutti noi bonsaisti. Le mostre finiranno per offrire al visitatore la visione di soggetti dalla forma simile che nella loro bellezza, sì, appariranno prive di pathos.

Forse il lavoro del bonsaista con una conifera è reso più agevole e la presenza di latifoglie costituisce una presenza minoritaria, essendo la loro presentazioni più difficile e meno camuffabile da eventuali imperfezioni ma, vivaddio, i difetti possono costituire una caratteristica estetica che rientra nel concetto di naturalezza e spontaneità!

Non dimentichiamo che quello che ho definito molti anni addietro “istant bonsai” è un altro fattore che pesa fortemente sulla qualità del manufatto. Il tempo lento del bonsaista viene nullificato a favore del tutto proto e subito! Un olivo con la chioma della conifera non può essere credibile e va contro tutti i principi della forma che la natura gli ha donato.

La forma dell’albero non è uniforme né ripetitiva e quando si parla di “albericità” come hanno fatto all’inizio i nostri grandi bonsaisti (e mi piace citare Oddone, Giorgi, Dal Col, Liporace e tanti altri), si parla di forma azzeccata rispetto all’essenza e di naturalità, ma entrambe i termini giustificano e sorreggono una corretta interpretazione della Natura che attentamente osserviamo.

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Un bonsai richiede sempre un atto contemplativo che renda una profondità di senso ed un valore per la conoscenza e l’apprezzamento del bonsai stesso. La contemplazione e la valutazione estetica in toto è dunque la conoscenza della pianta.

Si tratta di verificare quanto ci accade nella contemplazione di questo “oggetto di bellezza”: riceviamo un senso imprevisto di “rivelazione”, che in termini cognitivi equivale ad una sensazione di scoperta, che viene da un’attenzione esclusiva per la piante osservata, senza la quale non vi sarebbe nessuna ricerca né desiderio di conoscenza.

La relazione simultanea di apparenza naturale e apparizione trascendente è una relazione fra “forme”, che inerisce ad una temporalità escatologica, tendente ad un compimento che accade ogni qualvolta si innesca la modalità estetica. Sintetizzando e semplificando il pensiero: stiamo parlando di “credibilità” di un bonsai, della sua forma e della sua modellatura.

Il concetto di “percezione della forma” del bonsai non può essere oggetto di dubbi, tentennamenti o ambiguità: quando lo osserviamo anche esposto nel tokonoma (si assiste spesso ad allestimenti poco credibili, improvvisati, superficiali e mi appello ad Edoardo Rossi che è sicuramente l’esperto più qualificato nel campo!) dobbiamo distinguere il suo essere dal suo essere bello. Un manufatto di cui possiamo distinguere il lato estetico nel senso di percezione, dal senso di bello. Lo analizziamo concettualmente e solo secondariamente per la sua qualità di attrarre l’attenzione nel suo complesso.

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La forma del bonsai torna al percipiente come assolutamente credibile e reale: vi è una reciprocità drammatizzata, una tensione perenne che è il risultato della forma stessa del bonsai. È qualcosa che ha leggi proprie. Esclusive. Quella forma rappresenta quello che la Natura è, cioè quello che fa.

Da questa doppia presupposizione possiamo chiarire le difficoltà che esistono nella definizione intrinseca del bonsai che ne consegue. Questa percezione è naturalmente modellata sulla contemplazione della pianta da parte del bonsaista, perché non si percepisce se non per competenze delle tecniche, per una conoscenza approfondita delle varie essenze e della struttura della forma osservata in Natura. Questa proceduralità è il nocciolo dell’esistenza stessa del bonsai e la sua credibilità ne fa sicuramente un prodotto dell’arte.

Dibattiti, discussioni e confronti sono necessari e sono alla base di una corretta forma di collaborazione ed interscambio di cui peraltro si devono fare carico le varie associazioni e club e, lasciatemelo dire, anziché elargire in maniera sempre più numerosa qualifiche ed attestati, come cantava De Andrè, “di benemerenza” che autorizzano alcuni di arrogarsi titoli di “esperti”, se non addirittura di maestri (qualifica che mi lascia perplesso e basito!) rispetto a coloro i quali vantano una carriera di molti lustri fatta di “sangue e sudore”.

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2 Responses

  1. Trovo questo articolo di Antonio Ricchiari molto interessante e, aggiungo, “coraggioso” perché sottolinea con franchezza alcuni aspetti fondamentali del bonsai “tradizionale” ed allo stesso tempo sottolinea alcune evidenti deviazioni dalla tradizione giapponese.
    Il maestro Ando parlava di
    ” kamae’ ” dell’albero, ovvero di progetto di vita che ogni essere vivente ha in sé, ed il bonsaista deve cercare di comprenderlo per intervenire nel processo di crescita dell’albero con naturalezza. Conoscere e quindi interpretare il kamae’ dell’albero è presupposto fondamentale per “costruire” insieme allo stesso l’armonia.
    Alla ricerca della naturalezza ed armonia, che richiede tempo, pazienza ed umiltà, spesso si preferisce il bonsai “tutto e subito” con stili ripetitivi, uniformi e stereotipati.
    In questo modo di fare bonsai l’albero diventa un oggetto del protagonismo del bonsaista.
    Il maestro Ando raccomandava di frequentare i boschi per conoscere la bellezza della natura, sempre nuova e sorprendente.
    Abbandonare i fondamentali del bonsai tradizionale giapponese, (che non elenco per non dilungarmi troppo e presenti sostanzialmente nell’articolo), è semplicemente un grave impoverimento del bonsai italiano per cui mi auguro che questo articolo possa essere uno stimolo positivo per le grandi potenzialità del bonsai italiano.

  2. Antonio Ricchiari ha detto:

    Ennio, fino a quando si manterrà questo status quo, fino a quando non ci sarà un contraddittorio, fino a quando non ci sarà la modestia che la filosofia orientale richiede, ognuno rimarrà trincerato dietro la propria saccenza o peggio ancora il proprio delirio di onnipotenza ed il bonsai italiano sarà una barca senza remi e senza nacchero. E molti giovani stanno peggiorando la situazione e chi è quotato a fare un contraddittorio ignora questi appelli. Ognuno si è ritagliato il proprio quadrato e tutto rimane inascoltato o per motivi in interessi vari o per tanto altro. Non dimenticare che siamo italiani per DNA e viviamo per i titoli!

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