Quella del Bonsai (盆栽: da “bon” – vassoio o vaso – e “sai” – prendersi cura, coltivare -) è un’antica arte giapponese che permette di compenetrarsi nella Natura. A differenza delle altre arti tradizionali nipponiche, quella del bonsai è una pratica in continuo divenire, un viaggio senza una vera e propria meta, volto ad un “semplice” insegnamento: non esiste che il qui ed ora.
L’origine di tale pratica è antica ed a tratti incerta. Nata in Cina, attraverso il buddismo – ponte fondamentale tra le due culture – giunse in Giappone dove assunse ed inglobò aspetti shintoisti e taoisti, diventando una vera e propria arte capace di esprimersi attraverso un’estetica profondamente legata alla Natura. Per lo shinto, in particolare, tutto ciò che ci circonda è emanazione di quell’unico corpo, dotato di energia vitale, che è la natura. Che si tratti di un sasso, di un albero, o di un semplice ago da cucire, in ognuno di essi vi è un kami, uno spirito che è espressione di quella natura sacra di cui tutti facciamo egualmente parte. È questa la ragione per cui il popolo giapponese (ed orientale in generale) si è sviluppato in armonia con la natura, e non con quell’atteggiamento di dominio tipico delle culture occidentali.
Avere un bonsai da educare e di cui prendersi cura, vuol dire comprendere la sua unicità. Compito del bonsaista è quindi permettere a tale unicità di potersi esprimere liberamente e con armonia, in primis attraverso il linguaggio dell’estetica tradizionale giapponese. In parole povere, il nostro piccolo albero dovrà poter comunicare la propria essenza attraverso una forma naturale tra le infinite possibili. Nell’imprimere una forma il fine del bonsaista non sarà quindi il mero raggiungimento di un ideale estetico, ma il farsi mezzo attraverso il quale il piccolo albero possa esprimere se stesso e la natura di cui è emanazione.
Educare un bonsai implica quindi entrare in sintonia con esso, scoprirne e comprenderne il carattere, per poi valorizzarlo il più possibile attraverso una forma coerente. Ma cosa vuol dire “scoprire e comprendere il carattere” di un bonsai? Significa rivelarne le qualità, dalle quelle più palesi a quelle più nascoste, considerandone con attenzione pregi e difetti. La prima, quella più evidente ed impattante sin dal primo sguardo, è senz’altro la distinzione tra ‘maschile’ e ‘femminile’… e qui si apre un vero e proprio dedalo concettuale dal quale cercheremo di uscire facendo luce sugli aspetti più salienti.
Già a una prima occhiata può venire istintivo antropomorfizzare le forme e ascriverle a uno dei due generi. Ad esempio: un albero grosso dal tronco maestoso e con una chioma imponente, può facilmente riportarci a caratteristiche di tipo maschile, mentre un esile ciliegio in fiore richiama subito alla mente dei connotati femminili.
Ogni essenza ha caratteristiche che possono indurci a inserirla in una delle due categorie benché, come vedremo, questa distinzione non sia così facilmente definibile a priori.
Per i giapponesi – generalmente – le conifere sono definite come maschili, mentre le caducifoglie e le essenze da fiore e frutto sono tendenzialmente femminili; eppure ogni essenza, a sua volta, può confermare o meno questa categorizzazione in base a delle caratteristiche specifiche delle singole varietà. Per cui: il pino nero è considerato maschile, quello bianco, femminile; l’acero tridente – pur essendo una caducifoglia – è associato al maschile, quello palmato invece è femminile.
È nella mentalità comune l’attitudine ad attribuire automaticamente determinate caratteristiche al genere maschile piuttosto che al femminile. La stessa psicoanalisi (con le dovute differenze concettuali derivanti dalle diverse scuole) ha contribuito a radicare nell’immaginario collettivo tale approccio nonostante, a un’osservazione più scrupolosa, i due principi spesso si mescolino e si confondano secondo le modalità più disparate.
Secondo il taoismo l’universo stesso è nato quando l’Unità si è sdoppiata nella dualità dello yin e dello yang, due entità/energie tra loro opposte e complementari, nonché inseparabili ed in perenne dialettica per il raggiungimento dell’equilibrio. Una non può esistere senza l’altra, tutto nasce e si sviluppa dalla costante tensione fra queste due entità. L’energia – come l’armonia e tutti i fenomeni dell’universo – è una, ma per manifestarsi diventa yin e yang. Nessuna cosa può essere interamente yin o interamente yang, può solo essere più yin o più yang rispetto ad un’altra.
Il taoismo è illustrato e sintetizzato nel simbolo del Tao: il cerchio rappresenta la totalità, che è divisa in una parte nera (yin) ed in una parte bianca (yang), divise da una linea a S che rappresenta il rapporto dinamico fra le due qualità, che sono in continuo flusso e si controllano e trasformano a vicenda. L’energia vitale allo stato puro si trova al centro esatto della bilancia, non è né yin né yang, ma partecipa ad entrambe le qualità. I cerchi più piccoli di colore opposto indicano che all’interno di ogni polarità è contenuto un elemento di quella opposta.
Va da sé che non esistono qualità in grado di definire tout court in termini assoluti ciò che è maschile e ciò che è femminile. Il grado di identificazione è piuttosto legato a fattori culturali e a dinamiche intrapsichiche che affondano le loro radici in dinamiche sociologiche ben più complesse, e ciò comporta che il riconoscimento stesso di queste qualità in un albero dipende molto dalla propria sensibilità, oltre che dai fattori sin qui accennati. Il possesso di qualità e particolarità appartenenti al principio opposto il più delle volte è necessario affinché si possa esaltarle ed arricchirle attraverso un abbinamento dei contrari. Viceversa, la sola netta adesione a modelli stereotipati, implica, il più delle volte, il raggiungimento di una forma a dir poco grottesca. La singolarità da far risaltare nel nostro bonsai risiede anzitutto in quella miscela unica ed irripetibile in cui sussista il giusto bilanciamento tra i tratti maschili e femminili.
La grandezza e le proporzioni del tronco e dei rami, la compattezza delle masse vegetative, la dinamicità o la staticità espressa, il rapporto ed il ritmo tra gli spazi, la presenza o meno di legno secco, sono soltanto alcuni degli elementi estetici che tendono a spostare l’ago della bilancia tra il maschile ed il femminile. Il bonsaista, carpita l’anima dell’esemplare che ha davanti, deve operare delle scelte di armonizzazione o di conciliazione fra i contrari, come accade in una sinfonia in cui si alternano più voci, qui più forti e decise, là più delicate e struggenti. La bellezza dell’opera si basa proprio sulla complessità, e deve ad essa il suo fascino e la sua espressività, dove il femminile ed il maschile sono due forze che si rinforzano a vicenda e che concorrono allo sviluppo più pieno dell’innato carattere.
L’estetica tradizionale giapponese, si basa su codifiche ed indicazioni le cui radici sono comuni praticamente a tutte le arti, e non solo, e che per fortuna ci vengono in aiuto. Tra queste troviamo la classificazione nei tre stili shin, gyō, sō, definibili (non senza un piccolo abuso di linguaggio) come formale, semi-formale, informale, in virtù del rigore più o meno espresso dall’estetica stessa del soggetto.
Questa distinzione è palese nello shodō – la calligrafia giapponese – in cui lo stile di scrittura deve attenersi al formalismo scelto tra kaisho, gyosho, sosho.
Il primo – kaisho – è quello formale (comparabile col nostro stampatello), il secondo – gyosho – è il semi-formale (il nostro corsivo), mentre il terzo – sosho – è l’informale, la scrittura libera. Spesso le calligrafie in stile sosho risultano di difficile, se non addirittura impossibile, interpretazione. In questi casi, la forma pittorica del tratto sublima il contenuto stesso in uno slancio estetico-emozionale di raffinata e rara bellezza.
Tornando alla nostra classificazione, shin è solitamente abbinato al carattere maschile, sō a quello femminile, e gyō alla miscellanea tra i due opposti. Forme dalle linee marcate e simmetriche appartengono allo stile shin-maschile, mentre quelle dalle linee morbide ed asimmetriche appartengono prevalentemente allo stile sō-femminile.
Questa formalizzazione si estende a tutti gli altri elementi collegati al bonsai, in primis al vaso, il cui peso ed importanza incidono enormemente nell’armonia del bonsai inteso come abbinamento albero-vaso. I vasi (in gres) non smaltati sono solitamente considerati maschili e generalmente abbinati alle conifere, quelli smaltati invece, vengono considerati più femminili ed abbinati alle caducifoglie. A loro volta, i vasi con linee più squadrate e forme quadrate o rettangolari sono tendenzialmente shin, mentre gli altri si dividono tra gyō e sō.
Nel caso di un’esposizione bonsai, l’abbinamento albero-vaso va completata con altri elementi, quali il tavolino, l’elemento d’accompagnamento ed il kakejiku, ognuno di essi votato ad un’armonica simbiosi corale, ma in cui ognuno può incidere positivamente o negativamente sugli altri. Un apparente labirinto, sempre più diramato e complesso, dove il raggiungimento dell’enfatizzazione del carattere e delle qualità del bonsai sembra soccombere sotto il peso di mille variabili incontrollabili… eppure stiamo parlando di un aspetto semplice, basilare, che siamo istintivamente portati a riconoscere. Così come per gli abbinamenti cromatici, per sottolineare un carattere anziché un altro, possiamo usare due banali strategie, quelle dell’affinità e del contrasto.
Nel primo caso l’enfatizzazione si raggiunge mettendo in risalto caratteristiche simili: ad un bonsai con un tronco sinuoso cercheremo di selezionare pochi rami con movimenti simili che possano maggiormente mettere in luce l’eleganza e la femminilità dell’esemplare. Nel secondo caso, l’obiettivo si raggiunge puntando l’attenzione su un qualcosa di completamente diverso: ad un bonsai apparentemente ‘neutro’ potremo abbinare un vaso molto squadrato e spigoloso così da far risultare l’insieme più maschile, o, con una scelta diametralmente opposta, sceglierne uno più morbido e colorato così da caratterizzare il tutto con aspetti più femminili.
Come sempre accade, anche in questo caso il bonsai si erge a Maestro di vita, insegnandoci che la diversità è ricchezza, ed è per tale diversità che l’unicità diventa mirabile qualità e non bieco difetto.
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