Il mio suiseki… il mio… mio! Ma di chi è un suiseki? Di chi l’ha raccolto, di chi l’ha ripulito dalla terra, di chi gli ha costruito (o commissionato il daiza), di chi lo ha acquistato, od anche, perché no, di chi ne ha curato l’esposizione? A chi appartiene insomma questo benedetto suiseki?
Massimo Troisi, vestiti i panni di Mario Ruoppolo ne “Il postino”, affermava che:
la poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve.
come a suggerirci che l’immaterialità e la finalità espressa dalla poesia – nel nostro caso dal suiseki – è ben più importante della sua materialità, del suo possesso.
Occorre, dunque, raggiungere un necessario distacco verso “l’oggetto suiseki”, primo passo indispensabile per entrare in armonia con la sua essenza, passo senza il quale rimaniamo relegati ad uno stadio di consumistica materialità.
Chiedersi di chi è un suiseki, è come come chiedersi di chi è l’aria che si respira.
in foto © “I segni delle tempeste, la vita prosegue”, coll. Laura Monni