Per fortuna, dal punto di vista bonsaistico e suisekistico, anche questo 2023 è iniziato come meglio non si poteva. Con la Kokufu-ten e Japan Suiseki Exhibition svoltesi in Giappone prima, ed il Trophy in Belgio dopo, abbiamo avuto modo di rifarci subito gli occhi ammirando, chi dal vivo e chi da dietro un monitor, grazie ai social, esemplari di un livello altissimo.
In particolare, la JSE è arrivata alla sua decima edizione, evento destinato ad essere ricordato più degli altri anche per via del cambio di presidenza all’interno della Nippon Suiseki Association (associazione a cui è preferibile essere iscritti per poter esporre alla JSE). Tra i soci internazionali della NSA spicca il nome di Daniela Schifano, famosa suisekista italiana, giunta alla sua nona partecipazione alla JSE, di cui ben otto (!!!) come espositore. Ed è proprio grazie a Daniela che – praticamente in tempo reale – abbiamo potuto ammirare i suiseki esposti in questa mostra in tutta la loro bellezza.
Con la presidenza del Maestro Kunio Kobayashi, in questi anni la JSE ha mostrato molti suiseki storici, tra cui un famoso bonseki appartenuto a Kobori Enshu. Oltre ad avermi lasciato senza fiato il bonseki in questione, è il commento ironico (o almeno così voglio sperare) di Ulisse Maccaferri – consigliere decennale dell’Associazione Italiana Amatori Suiseki – ad aver catturato la mia (e non solo) attenzione: “Contento della tua scoperta, ma il fiume Piave è pieno di quelle forme e di quel materiale.Come dicono i latini…nessuno è profeta in patria.Divertiti e mostraci qalcosa.” .
Il suiseki è una pratica, o arte (benché in Giappone questa parola abbia tutt’altra connotazione) che affonda le sue radici nello zen e nello shintoinsmo, ed è caratterizzato da una serie più o meno infinita di valori che fanno del Suiseki una vera e propria Via, al pari dello shodō – la Via della calligrafia, del kadō (o ikebana) – la Via dei fiori, e del chadō – la Via del tè.
Il suiseki non è un fine, ma un mezzo di elevazione personale, un’esperienza in divenire volta all’armonia. Essere suisekisti non è prendere delle pietre, fargli un daiza ed alla fine esporlo ad una mostra concorso (ed ancor peggio soltanto per vincere un premio). Così come, se spogliato di tutta la sua componente valoriale il bonsai non è nient’altro che giardinaggio specializzato, anche un suisekista scevro di queste connotazioni non è che un sassarolo… e ciò che era una Via diventa un passatempo.
Sia chiaro, non bisogna essere monaci zen per praticare il suiseki, ma non essere (o provare ad essere) consapevoli del mondo che c’è dietro è a dir poco deleterio.
Il suiseki di cui sopra non è semplicemente un bel sasso raccoglibile più o meno ovunque, non è la sua forma a cui noi dobbiamo prestare attenzione, ma a ciò che ella esprime e di cui è portatrice, in primis alla patina del tempo. È a questo che dobbiamo tendere e provare a carpire.
Ma nessuno ci obbliga a farlo. Così come per fare una corretta carbonara bisogna utilizzare gli ingredienti giusti e seguire una ricetta precisa (https://www.takumilifestyle.com/gordon-ramsey-e-la-carbonara/), fare suiseki vuol dire percorrere una strada ben delineata e che nessuno ci ha chiesto di fare. Gli americani in questo sono stati molto coerenti. Così come per loro il gioco del calcio è il soccer e non il football come nel resto del mondo (altro gioco, altre regole), così hanno coniato un termine ben preciso che non è quello di suiseki ma di viewing stone.
Nanni Moretti diceva che “le parole sono importanti”, ed è vero, perché definiscono bene ciò che vogliono esprimere e ciò che implicano. Invece in Italia viviamo un paradosso per cui chi (come Daniela Schifano) persegue coerentemente la via del suiseki, viene tacciato di “scimmiottare i giapponesi”, mentre chi ne riscrive arbitrariamente le regole ne è il vero depositario. In questo modo non solo si crea un’assurda confusione, ma assistiamo quotidianamente alla nascita di nuovi fenomeni, di nuovi sedicenti esperti, grazie al potere – distorto – di quella gran cassa di risonanza che è facebook ed i social affini.
Il gioco è facile: si prende il vero esperto di turno, come ad esempio Tom Elias, si decontestualizzano le sue affermazioni, e si fanno passare per regole, o per modernità, ciò che non lo era originariamente. Se a questo aggiungiamo che in quanto italiani ci sentiamo artisti inside, allora tutto è concesso in nome di una creatività ed una libertà espressiva costituzionalmente garantita. Certo, il più delle volte rasentiamo un livello culturale che farebbe impallidire un bambino di terza elementare, ma vuoi mettere l’esaltazione nel sentirsi dei geni creativi non omologati?!
Ci sentiamo tutti degli artisti alla Lucio Fontana, ma non siamo altro che degli sfregiatori di tele. Così come avere un pennello in mano non fa di noi dei pittori, allo stesso modo raccogliere (o comprare) una pietra non fa di noi dei suisekisti… e di essa un suiseki.
Il movimento italiano si sta evolvendo (?!) verso un nuovo modo di fare suiseki? Le sue regole ci stanno strette? Qual è il problema? Nessuno ci ha detto o imposto di seguirle, basta fare quel che ci piace dando un nuovo nome e nuove indicazioni a ciò che facciamo, e tutti saremo più felici e contenti. Così finalmente potremmo presentare le nostre pietre su tavolini/servi-vivande girevoli, esporre pietre bianche nella categoria oggetto, o allestire dei “suiseki nel modo cinese”.
Basta scimmiottare i giapponesi… ma per davvero… please!
In copertina: “Ukifune – barca alla deriva” di Paco Donato
13 Responses
Articolo che fa chiarezza, a parer mio, sulla attuale situazione della comunità degli appassionati di pietre in Italia
Grazie per il tuo commento Giorgio, sei il benvenuto.
Penso che questo articolo definisce molto bene la situazione che si sta delineando in Italia. Condivido a pieno le riflessioni e i paradossi che l’articolo evidenzia e li condivido a pieno.
Grazie Carlo, hai evidenziato il pericolo di una triste deriva fi un arte così densa di storia e di cultura
Grazie a te Claudio per il tuo commento, e per aver ben centrato ed accolto l’obiettivo costruttivo di questo scritto.
Scrivere articoli di questo genere senza aver mai cercato o trovato pietre di un certo spessore credo lo possano fare in molti, basta informarsi e documentarsi qua e la. La vera capacità e soddisfazione del vero suisekista è non stare dietro ad un monitor pigiando una tastiera cercando di sminuire chi invece magari si alza al mattino presto e si avvia con gli scarponi ai piedi e lo zaino in spalla macinando chilometri senza magari trovare niente e, se si è abbastanza fortunati trovare una sola pietra che fa dire agli appassionati: “Ha pero!” Tanti saluti dal pietraiolo Enny.
P.S. Per chi non lo sapesse se il Signor Tom Elias viene invitato in tutto il mondo anche in Giappone a giudicare pietre anche famose ci sarà pure un motivo.
This is so ridiculous. With this attitude no one should collect Monet or perhaps any Italian master paintings to be an art connoisseur? To understand this Art then one must by an easel, paint and brushes? Create one’s own masterworks. Please undertake a study of what suiseki truly is before making these kind of ludicrous statements.
Thank you Sam for contributing to this article. it is an honor to have you here, you are welcome.
Ultima notizia, sembra che una ed unica pietra italiano trovata da un sassarolo sia finita al Kobayashi’s Shunkaen Museum
Ne abbiamo trovato un altro “SCONOSCIUTO” che da fiato alle trombe e che neanche si firma per intero!
Grazie Carlo per il tuo articolo, sempre puntuale e chiarissimo. Ancora una volta il tuo occhio attento da fotografo ha centrato il punto della situazione. Del resto questo è il parallelo degli altri tuoi articoli “Riflessioni sui piccoli alberi”, articoli che invito tutti a leggere. Opinioni coraggiose? No, opinioni che condividiamo in tanti!
Ciao Giuseppe, grazie per il tuo prezioso commento e per il condividere le riflessioni della mia rubrica su BONSAI&news. Un caro saluto
Ultima notizia, sembra che una ed unica pietra italiano trovata da un sassarolo sia finita al Kobayashi’s Shunkaen Museum
Io Enny Gian Luigi, sono orgogliosamente sassarolo nel senso che vado a cercare e a raccogliere pietre, ma soprattutto sono libero da regole imposte dai giapponesi e dai loro seguaci e me ne vanto! Mentre chi scrive articoli denigratori di questo genere non ha mai raccolto neanche un mattone da cantiere, ma compera soltanto, mentre sembra che una ed unica pietra italiana trovata da un sassarolo sia finita al Kobayashi’s Shunkaen Museum.