Se hai una teiera in cui fare il tè, ti basterà quella. Quanto gli manca di sé a colui che ha bisogno di tante cose?
Rikyu Hyakushu
Quello del wabi-sabi è un concetto tanto conosciuto quanto incompreso, e per questo mal utilizzato. Cardine dell’estetica tradizionale giapponese, il wabi-sabi è, per i più, un aggettivo qualificativo equivalente a “rustico” o “grezzo”, nel migliore dei casi “consumato”.
Praticando il bonsai, spesso mi capita di sentirlo utilizzare come fosse una qualità insita dell’albero, ed ancor più spesso come modo per riempirsi la bocca con un termine cool e stupire l’interlocutore di turno.
Il tentativo stesso di associare questo concetto – questo paradigma estetico – a qualità fisiche, attraverso codifiche e definizioni, ne sminuisce e fraintende il suo universo fatto di sfumature e sensazioni.
Il wabi-sabi è la bellezza delle cose imperfette, temporanee ed incompiute; la bellezza delle cose umili e modeste; la bellezza delle cose insolite…
Leonard Koren
Resterà deluso chi cercherà questo termine in un dizionario giapponese… non esiste. Wabi-sabi è una parola di sintesi tra due antiche parole, wabi e sabi, ognuna della quali racconta di un mondo quasi irraggiungibile per chi non è giapponese.
Negli ultimi anni tanta è stata l’attenzione del mondo occidentale verso questa forma estetico-concettuale. Leonard Koren, artista ed architetto, ed autore del libro “Wabi-Sabi. Altri pensieri” (Ponte alle Grazie, 2015, pp. 96, € 10,80) è stato tra i primi divulgatori che ha cercato di far luce su questo paradigma tanto affascinante quanto fumoso.
È un’esperienza, un ideale estetico. Stile e filosofia di vita. È un invito all’essere piuttosto che all’avere attraverso l’apprezzamento della semplicità e del qui ed ora.
Nel libro, l’autore affronta questo universo da molteplici prospettive, da quella delle origini storiche a quella dell’estetica. Di particolare interesse il capitolo “realtà wabi-sabi contro realtà digitale”
Nel libro “WA. La giapponese all’armonia” l’autrice Laura Imai Messina approfondisce in modo particolare questo aspetto:
Il pensiero giapponese lo ripete in ogni disciplina, che la perfezione è un processo e non un risultato, e che tanto più intensa è proprio la bellezza delle cose che in un solo istante potrebbe andare in fumo.
Laura Imai Messina
[…]la filosofia del wabi-sabi che privilegia l’imperfetto, l’inconcluso, quanto porta sulle proprie spalle il peso del tempo, suggerisce che serve piuttosto una lente d’ingrandimento per vedere da vicino quanto abbiamo, amplificarlo nello sguardo, valorizzarlo proprio in quanto lontano dal perfetto, a suo modo unico al mondo.
Wabi-sabi, quindi, come arte del sentire volta ad un prezioso minimalismo intuitivo e ad un’estetica imperfetta, vissuta, intimista, fuggevole.
4 Responses
Eccellente.
Grazie Aldo, gentilissimo come sempre!
Le stelline non corrispondono al reale gradimento.Nella necessaria sintesi è esaustivo e chiaro
Grazie di cuore Antonietta. Riuscire a divulgare alcuni concetti non è semplicissimo, specialmente restando dentro il perimetro di un testo sintetico. Ancora grazie per il tuo gentile riscontro.