La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario
Albert Einstein
Riflettendo sulle parole del geniale Albert Einstein, viene da pensare che l’essere umano tutto sia tranne che una specie intelligente. Pur avendo quella che viene definita la percezione del futuro, continua imperterrito ad avvelenare l’ambiente in cui vive come se questo non generasse conseguenze.
Sono anni che assistiamo ad un costante peggioramento dello stato di salute del nostro pianeta. A nulla sembrano servire i drammatici appelli della comunità scientifica a cui Greta Thunberg ha fatto da cassa di risonanza. Il coronavirus è soltanto l’ultima delle piaghe che si è abbattuta sul – e causata dal – genere umano. A più di vent’anni di distanza, il monologo dell’Agente Smith del film Matrix non è affatto profetico come si ipotizzava, ma è quanto mai realistico.
Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga.
Eppure, più che la Terra in sé, quello che ciecamente stiamo compromettendo è la sua abitabilità e la nostra stessa sopravvivenza. La Natura – la vita stessa – si è sviluppata in milioni di anni e continuerà a farlo cambiando ed adattandosi quando necessario. Ad oggi il 99.7% della biomassa presente sul pianeta è fatta di piante, forme di vita da noi definite come “vegetali”, ma il Professor Stefano Mancuso – uno dei massimi esperti mondiali di neurobiologia vegetale – ha dimostrato quanto siano degli esseri viventi intelligenti e sensibili. Senza di loro non esisteremmo, mentre senza di noi loro continuerebbero a vivere rigogliose ed indisturbate.
Sono mesi che non si fa altro che parlare di igienizzanti, mascherine e distanziamento sociale, eppure la pandemia continua a mietere decine di migliaia di vittime ogni giorno. Parafrasando Einstein, definirci stupidi è quasi farci un complimento. Di sicuro lo è per tutti quei negazionisti che con la loro ottusità vanificano i sacrifici di chi lotta per arginare il diffondersi del Covid-19.
Le piante, di contro, si sono dimostrate incredibilmente intelligenti, visto che autonomamente adottano strategie di distanziamento come quella che è stata definita “crown shyness” o “timidezza delle chiome”. Questo fenomeno naturale, scoperto negli anni ’20, è risultato sin da subito estremamente affascinante.
Rivolgendo lo sguardo verso l’alto, è possibile osservare come le chiome di alcune essenze arboree tropicali si formino occupando uno spazio ben definito, senza invadere mai quello altrui e andando così a creare un mosaico di luce e foglie che ben ne descrive i contorni.
Nell’ultimo secolo, sono state tante le ipotesi volte a spiegare questo comportamento. Ad oggi, la più accredita è quella per la quale gli alberi, non potendosi muovere “scelgono” una strategia cooperativa al fine di massimizzare l’approvvigionamento luminoso; al contempo si minimizza la possibilità d’essere soggetti ad attacchi fitoparassitari.
Quale che sia la ragione fisiologico-adattiva di questa strategia evolutiva, mantenendo questo “distanziamento sociale”, gli alberi riescono a garantirsi un sano sviluppo equilibrato e vigoroso… oltre che a donarci degli spettacolari mosaici naturali da mozzare il fiato. Come sempre, la Natura è somma Maestra, basta soltanto rispettarla e seguirne l’esempio.
La timidezza delle chiome (BUR, 2017, pp. 191, € 10,20) è anche un meraviglioso libro scritto da Pietro Maroè, studente ventenne di ingegneria, e presidente di SuPerAlberi, dove insieme ad altri “arbonauti” si occupa di studiare, misurare e curare gli alberi monumentali.
La chioma dell’albero cresce, ma sa – sente – dove cresce l’altra e non si azzarda a toccarla. È timida. Quando l’altra chioma è vicina smette di crescere nella sua direzione. Non la invade, non la tocca.
Pietro Maroè