Era il 1995, e io, giovane bonsaista, ho fatto il mio primo viaggio nella terra promessa del bonsai. Dovete immaginare cosa fosse la cultura e la conoscenza, anche in termini di immagini, del bonsai di allora: non c’era un uso comune di internet, le poche immagini che avevamo visto dei giardini dei maestri e dei loro alberi le trovavamo sulle riviste, con foto che potremmo oggi definire approssimative.
Durante il volo di andata in aereo sognavamo tutto questo, ma essere davanti a quegli alberi, vivere in prima persona lo stupore della prima volta, fu tutta un’altra cosa.
Nei giorni successivi abbiamo visitato i giardini dei Maestri uno ad uno, proprio quelli che più volte avevamo visto sulle pagine delle riviste e che ci avevano incantato con le loro meravigliose opere.
I mitici sensei erano davanti a noi, uomini in carne ed ossa. Ancora oggi ricordo quelle sensazioni, non riuscivamo a stare un momento fermi, eravamo avidi, volevamo vedere tutto ciò che era possibile, volevamo apprendere, conoscere, assimilare ogni cosa, tutto era nuovo e straordinario.
Nel visitare quei giardini tutti noi siamo stati investiti da una miriade di sentimenti, i nostri occhi non riuscivano a guardare tutto ciò che avevamo davanti a noi, la nostra mente era piena di sentimenti forti e contrastanti, colpiti da qualcosa che ci sbalordiva.
Ricordo l’impressione e lo stupore nel vedere alberi di dimensioni che, per noi all’epoca, abituati a coltivare alberelli da vivaio, erano inconcepibili, bonsai “da quattro uomini” esposti in vasi di dimensioni mai viste che ci lasciavano sbigottiti per la loro forza e la loro drammaticità, espressa con forme straordinarie che mai avevo visto e nemmeno immaginato.
Di quei giorni ho un ricordo nitido, ma un giardino mi è rimasto impresso come se fosse riuscito ad entrare più in profondità: il Kyuka-en, il giardino del Maestro Kenji Murata. Il Maestro era morto da qualche anno e il figlio, che si prendeva cura del giardino, lo aveva mantenuto senza nessun cambiamento, lasciandolo come il giorno in cui il suo vecchio padre lo aveva lasciato.
Non vi era nulla di tutto ciò che avevo visto fino ad allora, l’atmosfera che si viveva era di pace e di serenità. Gli alberi sembravano, se paragonati a quelli precedenti, più semplici: lasciati liberi, accuditi più che “impostati”. Il giardino lasciava trasparire il carattere del Maestro, la sua filosofia, il suo modo di coltivare, la sua passione per un bonsai legato alla sua essenza e non alla forma.
Oggi mi trovo in difficoltà a raccontarvi quelle emozioni, è difficile descrivere sentimenti profondi che ho vissuto.
Non è difficile stupire, lasciare senza fiato una persona è abbastanza facile, è sufficiente metterlo davanti a qualcosa di molto forte, di travolgente e inaspettato.
Dei giardini dei maestri e dei loro alberi ho un bellissimo ricordo, del giardino del Maestro Murata ho in me ancora chiara l’emozione che ho provato.
Penso che per riuscire ad emozionare sia necessario entrare in relazione con chi ti sta davanti, comunicare il sentimento, arrivare a toccare corde profonde, e per fare questo, non è sufficiente stupire. Forse la differenza tra le due sensazioni è proprio questa.
in copertina: Kusamono di Hakonechloa con aquilegia – coll. Edoardo Rossi | ph © Edoardo Rossi
One Response
Bene, per me in queste poche frasi Edoardo Rossi ci ha trasmesso davvero le sue emozioni. Grazie