Se noi occidentali troviamo una foglia secca subito abbiamo la visione dell’autuno, del declinare della vita. Un ikebanista vi vede delle opportunità.
Senza toccare concetti come il wabi sabi, troppo complessi da essere analizzati in un solo articolo, possiamo dire che nell’ikebana l’alternarsi di secco e fresco è semplicemente illustrare le stagioni della vita. Per tale motivo è fondamentale che il nostro materiale secco non dia l’idea di essere solo appoggiato ad un vaso o sul tavolo. Naturale o colorato che sia deve avere una sua forza e dignità.
Ricordo che una volta ad un workshop a Gand, tenuto dalla nostra Iemoto Akane Tesghigahara, lei passò le mani sotto al mio lavoro per far vedere che nessuna parte del ramo (grande e secco che attraversava il vaso) toccava il tavolo, proprio a sottolineare l’importanza di questo fattore.
Ma come si può far sì che questo accada? Come scrivevo tempo fa nel mio blog dedicato all’ikebana “il trucco c’è, ma non si vede“. E il “trucco” è ore di esercizio sulle tecniche di ancoraggio del materiale al vaso.
Ogni scuola ha delle proprie tecniche ed è fondamentale il continuo esercitarsi con esse ricordando che prima di iniziare qualsiasi lavoro dobbiamo:
- Osservare a lungo il materiale per comprendere come valorizzarlo al meglio. La natura si sacrifica per noi, non gettiamo via del materiale sprecandolo, stiamo utilizzando meravigliosi esseri viventi.
- Se scegliamo un vaso alto dovremo andare sempre a riempirlo di acqua dato che dopo aver posizionato il materiale potremo avere delle difficoltà oggettive. In caso di materiale secco questi non dovrà trovarsi a contatto dell’acqua per non rovinarlo.
- Preparare il vaso con la tecnica di ancoraggio che servirà maggiormente al nostro scopo o che meglio si adatterà al contenitore scelto. La tecnica di ancoraggio è un aiuto, se diviene un inciampo vuol dire che non la padroneggiamo ancora bene.
Questi tre punti se li analizziamo attentamente sono anche dei gesti rituali che ci portano piano piano ad allontanarci dalla realtà che ci circonda, dai pensieri che affollano la nostra mente, ci calma i battiti del cuore, ci fa penetrare nella giusta concentrazione necessaria per svolgere il nostro ikebana, con il rispetto che dobbiamo portare al materiale che abbiamo scelto.
Utilizzando dei rami/fiori/foglie secche come fossero vivi andremo ad aggiungere un lato “scultoreo” al nostro lavoro ridando vitalità ad un materiale che lo aveva perso. Se ci limitiamo a poggiarlo ad una qualsiasi superficie certamente non avremo difficoltà tecniche, ma nemmeno avremo svolto un buon lavoro e dimostrato rispetto a ciò che abbiamo usato.
Tempo fa feci, con le allieve e i maestri del mio gruppo, degli ikebana ispirati ai lavori di Hanayuishi Takaya ed io avevo scelto una sua realizzazione che mi ha portato a fare una delle mie sperimentazioni forse più ardite nel concetto di ikebana Sogetsu.
Sono rari i casi in cui, in Giappone, ho visto i maestri di ikebana Sogetsu utilizzare solo del materiale secco, e in quel caso maggiormente spingono sulla messa in scena della carica di vitalità del materiale proprio come a sottolinearne che non sia qualcosa di inerme, finito, un oggetto qualsiasi.
Un concetto che ci dovrebbe molto far riflettere sulla natura e noi, su come viviamo e visualizziamo la realtà che ci circonda. Tendiamo a non considerare la bellezza se non di ciò che ci appare possibile da “utilizzare”, non andiamo nel dettaglio, nella poesia di qualcosa che può avere una sua bellezza intrinseca in tutte le stagioni e forme della vita.
Anzi, cerchiamo di rincorrere una giovinezza che ormai diviene solo di facciata quando è bello che scorra il tempo e che racconti la nostra storia. Mio nonno sosteneva che ogni età ha pregi e difetti ed è peggio per chi vede fermarsi lo scorrere degli anni.
Prima di gettare via una foglia o un fiore o un ramo secco vediamo se ci possono raccontare ancora qualcosa. E sicuramente sarà così.